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Gabriele Sannai

Dissenso: perché spaventa tanto?

Aggiornamento: 12 mag

25 aprile 1945. Milano, ultima roccaforte dell’occupazione tedesca in Italia, viene liberata grazie all’arrivo degli Alleati e alle strenue lotte delle donne e degli uomini impegnati nella Resistenza. Una data chiave della Storia italiana, che segna la fine degli orrori del fascismo e delle sue funeste conseguenze, fra cui la guerra, e che a oggi ci accingiamo a celebrare per la settantanovesima volta.

Le gesta dei partigiani che, come ogni anno, vengono ricordate dalle istituzioni (volenti o nolenti, anche se la seconda opzione non dovrebbe essere contemplata, ma i tempi cambiano) hanno tutte un minimo comun denominatore: l’amore per la libertà scaturito dal dissenso nei confronti di un regime autoritario e razzista. Ed è proprio dissentire uno di quei fondamentali diritti per i quali i partigiani hanno dato la vita. Un diritto che oggi, per qualche misteriosa – ma non così tanto – ragione, fa ancora molta paura a chi detiene il potere più importante della Repubblica: quello esecutivo.

Per comprendere meglio, ci vengono in soccorso le parole del filosofo e scrittore francese Étienne de la Boétie (1530-1563), il quale, nel suo saggio intitolato Discours de la servitude volontaire, pubblicato postumo nel 1576, scrisse: «Il potere non esiste se non attraverso il consenso di coloro sui quali viene esercitato».

Ecco dunque spiegata questa paura che attanaglia coloro che ci governano. Se il potere si basa sul consenso, il suo contrario, il dissenso, comporta la distruzione del potere, e quindi la destituzione dei potenti. D’altronde, le grandi dittature del secolo scorso hanno basato la loro feroce politica sulla creazione di un ampio consenso popolare e sulla repressione dei dissenzienti.

Grazie ai partigiani e alla nostra Costituzione, quel tipo repressione non esiste più, almeno in quelle forme, perché oggi si manifesta attraverso strade secondarie, più subdole. In effetti, abbiamo potuto notare a più riprese come le autorità italiane manifestino nei confronti del dissenso pubblico una pericolosa avversione, che si manifesta con le azioni meno violente, che in realtà sono le peggiori, poiché rischiano di passare inosservate e impunite, come quelle operate recentemente in televisione (programmi che improvvisamente non possono più andare in onda o che devono ricorrere a un’emittente privata, con manifesta felicità di certi ministri), ma anche con quelle più violente, un vero e proprio astio, come quello dei manganelli di cui si è avvalsa la Polizia di Stato a Pisa per picchiare pericolosissimi e sovversivi individui come degli studenti di un liceo artistico intenti a manifestare per la pace.

Ironia a parte, questi sono solo alcuni degli episodi più eclatanti che non solo devono farci riflettere su quale sia lo stato attuale della democrazia in Italia, ma devono soprattutto preoccuparci, perché, come ha spiegato la giornalista Annalisa Cuzzocrea nella trasmissione televisiva Che Tempo Che Fa, «la violenza contro il dissenso è fascismo».

Non è un caso infatti che le stesse persone ad avere paura del dissenso siano quelle che non riescono, neppure usando i costrutti base della lingua italiana, a definirsi antifascisti come la Costituzione sulla quale hanno giurato davanti a tutta la Repubblica e al Suo Presidente. Nella speranza che questo 25 aprile possa far meditare tutto ciò, mi auguro anch’io di svegliarmi una mattina e di non trovare l’invasor, bensì un’Italia più libera «in cui il dissenso sia sempre leale, dove chi fa il ministro non abbia paura di chi fa il saltimbanco» (Luciana Littizzetto).

Buona festa della Liberazione!



IV Liceo - Gabriele Sannai

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