Il sabato del villaggio di Giacomo Leopardi viene proposta a ogni ciclo scolastico: alle medie, al liceo e poi anche all'università se decidiamo di fare Lettere. Se va bene ci tocca una lettura con qualche appunto, se invece si ha una prof. appassionata di letteratura come la mia, una corposa analisi.
Una lirica stupenda: meravigliosa l’immagine paesana che si apre con due figure femminili contrapposte, la donzelletta che immagina la gioia del dì di festa a venire e la vecchierella che ricorda la gioia delle feste della sua giovinezza, del suo buon tempo.
Ci sono dei momenti, però, in cui mi viene un'illuminazione e capisco, o meglio, sento sulla mia pelle, quello che un autore vuole dire e ho come la sensazione che parli proprio a me.
Adesso, in questa lirica di Giacomo Leopardi, è proprio uno di quei momenti. Elemento scatenante: la festa di compleanno, non di uno qualsiasi, ma dei diciotto anni.
Ho cominciato a pensarci alle medie, quando con i miei amici si iniziava a parlare dei super mega festoni organizzati da sorelle e fratelli più grandi: un numero spropositato di invitati, cibo e alcool come se piovesse, dj set da paura e giochi di luci.
Gli anni sono passati e le variazioni sul mio «Diciotto» (lo chiamiamo tutti così) sono state infinite: da Cenerentola 2.0 a Coachella Style, dal picnic al parco alla giornata al mare, dalla semplice cena al ristorante alla terrazza con piscina e vista sullo skyline.
Ho immaginato tutto da sola, i miei genitori non sono mai stati informati delle mie idee che cambiavano a seconda delle passioni e delle frequentazioni del momento. Ho stilato anche decine di volte le liste degli invitati, ho sognato a occhi aperti i momenti topici della festa, dal video con i momenti più belli della mia vita, all'amica con cui avevo litigato ferocemente che arriva a sorpresa e mi chiede scusa davanti a tutti, a mia madre e mio padre che si abbracciano e, commossi, si dicono che sono la figlia migliore del mondo. Scene da film, il mio film.
Sabato 22 luglio ho compiuto i famosi diciotto anni.
Alla fine, ho organizzato una festa normale, di quelle che forse si ricorderanno in pochi.
Avevo davanti a me una serie di outfit possibili e nessuno mi piaceva. Non sapevo ancora quante persone dell'improbabile lista degli invitati che avevo stilato sarebbero venute e dopo aver immaginato milioni di volte la mia torta e la bottiglia per sciabolata e brindisi, ho chiesto a mia madre di pensarci lei. Ho provato un insieme di sensazioni che vanno dal «non vedere l'ora di...» alla speranza di un'invasione di cavallette per far saltare tutto. Insomma, un concentrato di tutte le contraddizioni di una quasi diciottenne tipo.
Ripenso al Sabato del villaggio: forse è proprio vero che il bello sta nell'attesa, nel desiderio e nel sogno che riempie il dì di festa di progetti, attese, speranze e illusioni.
E forse, se questa cosa l'ho capita e la sento mia, sono proprio diventata grande.
Altro dirti non vo’; ma la tua festa
ch’anco tardi a venir non ti sia grave
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