La fenice
- leonardodavincipar
- 20 mar
- Tempo di lettura: 10 min
Aggiornamento: 23 mar
Jacopo Zoletto - III Liceo
Il ragazzo e la ragazza camminavano fianco a fianco. Non c’era una strada da seguire né la traccia di un sentiero. Erano immersi in un cielo pesante lanuginoso che cancellava l’orizzonte. Dopo tanto frastuono, adesso regnava un silenzio che sarebbe stato tombale se non fosse che intorno stormi di uccelli volavano bassi stridendo. Così bianchi da sembrare parvenze inconsistenti.Se la ragazza al culmine della fatica non avesse detto: “Su, andiamo”, il ragazzo si sarebbe accucciato per terra e non si sarebbe più mosso. Troppe cose erano successe. E adesso erano stremati. Così, all’inizio lui aveva fatto resistenza: “Non ho voglia, Layla, non ho più voglia”, aveva mormorato scuotendo la testa con l’aria di chi non crede più in niente, e meno che mai in sé stesso.Lei lo aveva guardato in preda alla disperazione. “Su, andiamo, Pier, – aveva ripetuto, mentre sentiva crollarle le ginocchia – non mi puoi lasciare da sola proprio adesso”.
Si erano incamminati trascinando i piedi sul suolo arido sollevando sbuffi di polvere, ma più andavano avanti più il passo si faceva deciso, come se ci fosse una forza nel semplice andare.“Quando c’è una meta anche il deserto diventa strada”. Le parole lontane di sua nonna Aisha riecheggiavano nella memoria della ragazza come un richiamo a un tempo in cui c’erano mete da raggiungere.“Dove andiamo?” chiese il ragazzo, seguendo il volteggiare lieve degli uccelli.“Da qualche parte che non sia qui è la nostra meta”, si sorprese a rispondere la ragazza, puntando verso l’incerto orizzonte.
Fratello e sorella continuarono a camminare in silenzio per un tempo che parve loro interminabile. Layla stava rivivendo quelle terribili immagini: l’intrusione nella Torre Reale, il tentativo di inserire i codici, l’intervento dei Demoni, i genitori che gridavano loro di scappare, e soprattutto i due colpi di fucile che li avevano messi a tacere. Poi la fuga, giù dalla Torre, con il parapendio, e per un mezzo miracolo lei e Pier ne erano usciti illesi. Ma la memoria era peggio di qualsiasi ferita: li tormentava da dentro, non lasciava tregua. “Perché tutto questo? Perché niente può mai andare come vogliamo!?” gridò Pier, riportando la sorella al presente. “Non lo so Pier, non c’è un motivo – sussurrò lei – ma dobbiamo essere forti: se la speranza si spegnerà, il lavoro di dieci anni portato avanti da mamma e papà non saranno serviti a niente. Degli Angeli Rivoluzionari probabilmente rimaniamo solo noi due, e portiamo sulle spalle la loro volontà”. Le sue parole avevano senso, ma Pier non riusciva ad accettarlo.
Loro due erano stati cresciuti con l’ideale di libertà come parola d’ordine, ma ne erano stati costantemente privati dalla tirannia del Monarca, un dittatore che non si faceva mai vedere da nessuno, il quale controllava tutto e tutti con le sue spie. Ogni individuo che dichiarasse idee contrarie al regime veniva bollato come Traditore, ed era certo che in poco tempo sarebbe stato raggiunto dai Demoni Reali, individui nati e cresciuti dal Governo per diventare soldati spietati senza una coscienza. Un Traditore veniva arrestato e portato nelle segrete della Torre Reale (dove abitava il Monarca), da cui nessuno era mai uscito. I due fratelli avevano passato l’infanzia costantemente in viaggio con i genitori ad architettare quella fatidica Rivoluzione, i cui sostenitori si chiamavano tra loro Angeli, e avevano dovuto rinunciare a vivere un’infanzia normale. Le riunioni si tenevano in bunker sotterranei o ville abbandonate, e l’ossessione di segretezza imponeva precise regole da rispettare agli Angeli Rivoluzionari.
Dopo dieci anni di lavoro erano finalmente giunti a un accordo e avevano elaborato un piano di eutanasia: avrebbero rubato i codici di sicurezza che controllavano i missili del Governo, con cui avrebbero raso al suolo lo Stato. Poco importa se nessuno si sarebbe salvato: piuttosto che vivere in quella dittatura, tutti preferivano morire, se con loro sarebbero morti anche il Monarca e i Demoni. E chissà, forse in futuro dalle ceneri della vecchia città ne sarebbe sorta una nuova, libera e felice. Il piano fu chiamato Operazione Fenice. Consisteva in uno sforzo comune degli Angeli che permettesse a Layla, Pier e i loro genitori di infiltrarsi nella Torre Reale, dove sapevano essere contenuti i preziosi codici di sicurezza. Da qui avrebbero attivato i missili del Governo e li avrebbero puntati sulla stessa capitale. Era una missione suicida, e lo sapevano, ma era l’unico modo per liberare quella nazione dopo secoli di schiavitù.
Al momento di attuare il piano, tutto era filato liscio, fino all’ultimo piano della Torre Reale, dove erano contenuti i missili. Pier, genio dell’informatica, era sgattaiolato dentro mentre gli altri distraevano i Demoni. Aveva quasi digitato i codici, quando sentì due rombi assordanti, uno dopo l’altro, squarciare l’aria, e dei gridi di dolore e disperazione. Ma lui aveva un compito, e sapeva che non poteva distrarsi: premette invio e i codici furono immessi correttamente, e riconosciuti dal sistema come corretti. Passarono gli attimi. I secondi. I minuti. Ma niente. I missili non erano partiti. Pier non se ne capacitava, e cercava una soluzione, senza trovarla. L’unica spiegazione era che quello non fosse il software che controllava le armi, ma non c’erano altri luoghi plausibili che potessero svolgere quella funzione. Infine arrivò Layla in lacrime: “Pier, dobbiamo scappare! Non c’è più tempo! Mamma e papà…”. Pier gettò uno sguardo oltre la sorella e vide suo padre che giaceva a terra insanguinato, mentre due Demoni si avvicinavano minacciosi. Solo ora si rendeva conto della situazione: era il peggior scenario che avesse immaginato. Un grido quasi animalesco si liberò dalla sua gola, che esprimeva tutto il suo dolore e la sua furia. Ma Layla lo sollevò di peso lanciandosi insieme a lui fuori dalla vetrata che dava sull’esterno, e a mezz’aria premette il pulsante che attivò il parapendio.
E ripensando a tutto questo, Pier quella speranza la smarrì. Tutto ciò che era stato progettato dagli Angeli Rivoluzionari si era risolto nel nulla più totale, anzi: aveva causato forse l’arresto, forse la morte dei suoi genitori, così come quella di molti altri uomini, forse tutti, che avevano preso parte alla Rivoluzione. Adesso non gli rimaneva un bel niente, solo la certezza che un Demone fosse sulle loro tracce e che presto li avrebbe raggiunti. L’unica cosa che potevano fare era scappare.“Pier. Ascoltami – disse con voce ferma sua sorella – ora dobbiamo trovare un modo per liberarci del Demone che ci insegue”. Nel frattempo erano giunti in un’oasi con un piccolo stagno d’acqua e alcune palme che facevano ombra. “Ho bisogno di te adesso, serve una delle tue idee. Pensa a come possiamo fare. Al resto ci penseremo dopo”.Anche su questo aveva ragione, pensò lui, ma il trauma appena sperimentato gli impediva di ragionare. Si lasciò cadere a terra, e scoppiò a piangere. Layla cercò di rincuorarlo, ma Pier era come in shock. Non sentiva più la sorella, non sentiva più niente. E con un brivido di terrore, la ragazza vide comparire una sagoma in lontananza, a non più di dieci minuti di cammino. “Pier! Sta arrivando il Demone, Pier! Cosa facciamo?”. Ma lui continuava a non sentirla. Layla aveva paura, ma doveva trovare un modo per far reagire suo fratello prima che fosse troppo tardi. Era lui il genio, e senza le sue trovate geniali le speranze di sopravvivenza rasentavano lo zero. Come in un sogno, iniziò a sentire una canzone nella sua testa. “Ma certo!” esclamò a un tratto. E iniziò a canticchiare il motivetto che nonna Aisha recitava loro nelle notti difficili, in cui avrebbero voluto essere solo bambini normali. La nonna era una figura rassicurante per loro, praticamente la loro seconda mamma: quando rientravano a casa dopo i viaggi era sempre lì ad accoglierli a braccia aperte, e abbracciandola si coccolavano sul suo seno, tranquillizzati da quel suo profumo familiare e dalla voce calma e dolce.
La canzoncina sembrò funzionare: Pier smise di piangere, e pian piano la mente gli tornò lucida. In un attimo analizzò la situazione, e confrontò vari scenari possibili. Avevano pochissimo con cui lavorare, ma lo stagno era abbastanza piccolo da essere coperto dal parapendio che si erano portati dietro. Lo stese sull’acqua, poi tirò fuori dal suo zainetto un piccolo congegno costruito da lui. Non era altro che un ripetitore di suoni. Registrò insieme alla sorella un audio in cui chiamavano aiuto, e infine appoggiò il ripetitore in centro al parapendio. “Nascondiamoci dietro due palme diverse. Quando il Demone sentirà la chiamata d’aiuto andrà a controllare, e si avvicinerà allo stagno. Poi in qualche modo ce lo butteremo dentro e lo affogheremo. Tieni questo walkie-talkie, lo useremo per comunicare senza che ci senta. Non è un granché come piano, ma è quello con più probabilità di successo”. Layla era abbastanza contrariata, ma sapeva che le previsioni del fratello erano molto accurate, e fece come gli aveva chiesto.
Il Demone Reale era ormai arrivato: la sua figura si stagliava imponente davanti all’oasi. Aveva un casco con una visiera che gli copriva il volto, una mezza armatura in metallo che gli proteggeva il torace, e lasciava libere le braccia muscolose ricoperte da decine di tatuaggi e cicatrici che intimorivano alla vista. Guardò davanti a sé, digrignando la bocca in un’espressione feroce. Vide il parapendio steso per terra, e sentì quel suono provenire da un punto indefinito davanti a sé, ma capì subito l’inganno. Avanzò lentamente puntando il suo pesante fucile nero, poi portò una mano alla testa e premette un piccolo pulsante a lato della visiera, e cominciò a osservarsi attentamente intorno: stava scansionando l’ambiente col un rilevatore di infrarossi. Pier fu il primo a capirlo: si rese conto di non aver considerato l’avanzato equipaggiamento di cui disponevano i Demoni. E sapeva benissimo che li avrebbe visti non appena avrebbe guardato nella loro direzione. Attivò il walkie-talkie, e lo avvicinò alla bocca.“Ci può vedere!” sussurrò con un filo di voce. “Io lo distraggo, tu buttalo nello stagno! Passo e chiudo”. Il ragazzo stava morendo di paura, ma fare da esca in una situazione simile era ciò che gli riusciva meglio. Frugò in fretta nello zainetto e tirò fuori l’unica arma che aveva: una piccola pistola calibro 9x19 millimetri. Non l’aveva mai usata, né sapeva come usarla. E nemmeno aveva il coraggio di uccidere qualcuno. Ma era l’unica cosa che potesse fare. Si assicurò che fosse carica, poi allungò la mano da dietro l’albero, e sparò un colpo alla cieca contro il nemico. Il proiettile lo mancò di parecchio, ma ormai il Demone conosceva la sua posizione. Girò la testa di scatto verso la palma dietro a cui era nascosto il ragazzo e iniziò a ringhiare, come un cane da caccia che abbia fiutato la preda. Un sorriso crudele apparì sul suo volto. Poi, con la stessa andatura lenta ma decisa, si diresse verso il suo nascondiglio, puntando il suo fucile, con l’indice pronto a premere il grilletto.Pier nel frattempo aveva ricaricato. Contò fino a tre, poi allungò di nuovo il braccio per sparare un colpo, ma stavolta non ne ebbe il tempo: immediatamente il Demone sparò una fucilata alla sua mano, colpendo la pistola e le sue dita.Un grido lancinante di dolore si alzò verso il cielo, facendo scappare gli uccelli che ancora riposavano sulle palme. Pier vide due delle sue dita nella polvere insieme alla pistola caduta, e molto sangue iniziò a colare dalla ferita aperta. Sentiva i passi del Demone che continuava ad avanzare facendosi sempre più vicino. Piangendo di dolore e di paura, con l’altra mano il ragazzo prese il walkie-talkie, e mormorò: “Adesso…”.Non ci fu risposta, ma un altro colpo squarciato scheggiò l’albero, facendo sobbalzare Pier, che lasciò cadere il walkie-talkie dalla paura. Si inginocchiò disperato, farfugliando parole di aiuto. Sentì l’uomo dietro di lui caricare l’ultimo colpo. Chiuse gli occhi. Infine, uno schianto.
Li riaprì: era ancora vivo. Si voltò, e con occhi vitrei vide non il suo assassino, ma una ragazza con un grosso ramo di palma appoggiato su una spalla: era Layla. Stava guardando davanti a sé, verso lo stagno. Guardò anche lui: il parapendio stava sprofondando in acqua, sotto il peso del Demone, che era immobile.
Layla si accorse della ferita del fratello, e accorse preoccupata.“Per Dio, guarda che ti sei fatto! Deve farti un male…”. La ragazza prese del disinfettante e delle garze dal suo zaino, e iniziò a medicare il fratello. “Non badare a me, devi assicurarti che il Demone affoghi! Se si salva siamo spacciati!” la riprese lui.“Non penso che succederà: quando ho provato a colpirlo, lui mi ha vista con la coda dell’occhio e ha schivato il bastone, ma ha messo un piede sul parapendio facendolo sprofondare, e non appena il suo piede è entrato a contatto con lo stagno è svenuto. Probabilmente era allergico all’acqua…” disse ridendo.Ma Pier sapeva bene che fosse impossibile. Rifletté qualche secondo, poi gli venne un sospetto. “Forse ho capito qualcosa” affermò Pier. “Aiutami a tirarlo su”. E, vedendo lo sguardo contrariato della sorella, insistette: “Fidati di me”.
Dopo averlo riportato sul terreno Pier si mise a studiare il suo corpo, e con un rilevatore scoprì che c’erano delle onde radio provenienti dal suo cervello. “Bingo!” esclamò lui. “Nella testa di questo ragazzone c’è un microchip di qualche tipo, ne sono sicuro!” Entrambi pensarono un attimo a cosa potesse voler dire quella scoperta. Poi, tutto fu chiaro. “Ecco come fa il Monarca a controllare questi bestioni: alla nascita impianta dei dispositivi di controllo nel loro cervello, che alterano gli stimoli celebrali, modificando la loro abilità di pensiero, e forzandoli di fatto a obbedire ai suoi ordini. Ed è proprio per questo che appena è entrato a contatto con l’acqua ha smesso di funzionare”. I suoi occhi brillavano di entusiasmo: aveva ritrovato quella speranza che gli serviva. Sua sorella lo guardava incuriosita. “Sicuramente sono in qualche modo collegati al Monarca” continuò lui “che può vedere la loro posizione e decidere che impulsi vengono trasmessi. Ma se non sbaglio, se io modifico un po’ questo microchip…”. Pier si mise a smanettare sul suo computer portatile, e in poco tempo riuscì nel suo intento. Digitando qualche riga di codice poteva fargli sollevare un braccio, o fargli fare la linguaccia, o ancora togliersi una scarpa.“Layla, abbiamo una speranza! Ora posso controllare questo Demone, e possiamo usarlo come arma al nostro controllo. Possiamo fare la stessa cosa con tutti gli altri Demoni, e avremo un esercito a nostra disposizione!”La ragazza ci pensò un po’ su. Effettivamente, era un’ottima possibilità, ma sentiva che non fosse la cosa giusta.“No Pier, noi non siamo come il Monarca. Noi crediamo nella libertà. Lasceremo che sia lui a decidere se aiutarci o no”. Pier non era affatto d’accordo: c’era il cinquanta per cento di probabilità che scegliesse di non ascoltarli, e non avrebbero avuto scampo. Ma sapeva bene che quando Layla prendeva una decisione nessuno poteva farle cambiare idea. A malincuore fu costretto a spegnere il microchip. L’uomo aprì gli occhi.
Il Demone Reale tornava ora sui suoi passi, sollevando sbuffi di polvere mentre camminava sul suolo arido. Ora però aveva una libera coscienza, e intenzioni opposte a quelle con cui era partito. Marciava con ampie falcate e aveva una sola parola in mente: libertà. Sulla spalla destra portava il ragazzino, Pier, sulla sinistra Layla. Erano i suoi salvatori, e gli era debitore. Davanti a lui, stormi d’uccelli bianchi e candidi volteggiavano liberi, indicandogli la via. Lui era il primo soldato convertito, il primo di una lunga serie. E non con la tirannia, ma con il libero arbitrio, si sarebbe formato un esercito immenso, con il solo fine della Rivoluzione.
“Dove andiamo?” gli chiese Pier, ancora un po’ intimorito.“
Alla Torre Reale – rispose l’uomo – a uccidere il Monarca”.
La Fenice, come nella leggenda, stava rinascendo dalle sue ceneri.
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