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Uno sguardo personale sulla corrente artistica dell’Arte Povera

Giovanni Colavero - IV Liceo


Nel corso di una importante riflessione in classe durante il corso di Storia dell’Arte sul movimento artistico chiamato Arte Povera, abbiamo avuto l'opportunità di immergerci in una realtà affascinante e tangibile: una visita alla Bourse de Commerce di Parigi, dove abbiamo potuto ammirare le opere di alcuni tra i maggiori esponenti di questo movimento, tutte raccolte nella prestigiosa collezione Pinault. 

L'Arte Povera, nata in Italia negli anni ’60, è un movimento che si distingue per la sua carica politica e per l’uso di materiali umili, "poveri", come il legno, il carbone o la pietra, che raccontano storie di lotta, di trasformazione e di ritorno alla natura. Il termine, coniato dal critico Germano Celant nel 1967 durante la prima mostra del movimento a Genova, incarna una filosofia artistica che va oltre l’estetica, diventando veicolo di pensiero e di critica sociale. Questo movimento, pur avendo radici italiane, ha rapidamente guadagnato un respiro internazionale, riuscendo a riscoprire la natura come fonte di energia vitale.

Guidati da un esperto, ci siamo immersi per primi nell'opera "I Materassi" di Pier Paolo Calzolari. Qui, sei materassi sono avvolti da tubi refrigeranti, un simbolo dell’evoluzione del rapporto tra l’essere umano e l'ambiente domestico. L'opera invita a una riflessione profonda sulla vicinanza tra l'arte e il pubblico, abbattendo la distanza tra osservatore e osservato. Le opere di Arte Povera, in origine, prevedevano una partecipazione più attiva e diretta del pubblico, ma, come in questo caso, oggi sono spesso “museificate” per preservarne l'integrità. È il caso anche di Michelangelo Pistoletto, che nelle sue prime esposizioni coinvolgeva il pubblico non solo come spettatore, ma come protagonista. In una delle sue performance più celebri, i visitatori erano chiamati a indossare abiti speciali e a muoversi nel museo, diventando così parte viva e pulsante dell’opera stessa. Un esempio straordinario è "Il Mappamondo", un lavoro che prendeva forma in tempo reale, grazie all’interazione del pubblico.


L'interazione con la natura è un tema caro a molti artisti di questo movimento, tra cui Giuseppe Penone. La sua serie fotografica "Alpi Marittime" racconta di un dialogo profondo con gli alberi, in cui la natura cambia sotto la mano dell’artista, come a voler testimoniare la sua intrinseca trasformabilità. Alcune immagini sono rimaste particolarmente impresse nella mia memoria: alberi intrecciati, uno a cui è stato legato un filo, e uno la cui crescita è stata interrotta con un gesto deciso, in cui la corteccia si piega sotto la pressione della mano dell'artista.


Infine, abbiamo avuto l’occasione di esplorare l'opera di Giovanni Anselmo, in particolare una sua installazione che ha saputo destare la nostra curiosità e meraviglia: tra due massi di granito, uno grande e l’altro più piccolo, si trova un’insalata. I blocchi sono tenuti insieme da un sottile filo di rame, e la vita dell’opera dipende dalla cura costante: l’insalata non deve marcire, altrimenti l’opera crolla. Un'opera fragile, in bilico tra natura e arte, che costringe lo spettatore a riflettere sulla precarietà dell’esistenza e sulla tensione tra forza e fragilità.


Questa visita ha arricchito il nostro percorso di studi, completando la riflessione sull’Arte Povera che avevamo iniziato in classe. Ci ha offerto l'opportunità di vedere da vicino un movimento che trasforma materiali di scarto in opere d’arte dotate di un’incredibile potenza simbolica e filosofica. È stato un viaggio affascinante nel cuore dell'arte contemporanea, che ci ha invitato a considerare le innumerevoli possibilità creative insite in ciò che spesso viene considerato inutile.

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